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20/04/2007
Comune di Ballabio
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ALDOVINI RACCONTA LA SUA PRIGIONIA AD AUSCHWITZ
Nell' articolo il racconto della serata purtroppo con poco pubblico
Autore : Panzeri Marco

Venerdì 20 Aprile il Comune di Ballabio, Assessorato alla Cultura e Tempo Libero ha organizzato in occasione della vicina ricorrenza del 25 aprile, un incontro con Mario Aldovini, 82enne brianzolo, partigiano e reduce dal campo di sterminio di Auschwitz. Il Sig. Aldovini ha intrattenuto il poco pubblico di Ballabio presente ripercorrendo le tappe della sua vita, raccontando annedoti e particolari a volte divertenti, a volte crudi, dimostrando tantissima loquacità e voglia di raccontare agli altri la propria esperienza oltre alla voglia di vivere. “Io ero uno di quelli che non si interessava di politica. Avevo solo 18 anni e lavoravo come tracciatore in stabilimento, come tanti altri. La mia vita era formata da lavoro, famiglia e la scuola la sera. Poi nel ’44 sono venute due camionette di tedeschi e hanno chiesto del mio caporeparto il quale ha dovuto scegliere tre lavoratori che li seguissero …Ancora oggi non so perché tra i tre ha scelto anche me.”. Ha avuto inizio così, per Aldovini, la drammatica esperienza della deportazione nel campo di concentramento di Auschwitz. La Sua è stata una storia piena di avventure e di stranezze. Nato il 20 Marzo 1926 a Castelverde, nella campagna cremonese, si trasferì all’età di 9 anni a Sesto S. Giovanni; a 14 anni iniziò a lavorare, ma sempre frequentando le scuole serali, in una fabbrica di Sesto che, da produttrice di cappelli di feltro, durante la guerra si occupava di strumenti per l’aviazione. Un giorno, nel 1944 arrivarono i tedeschi per prelevare dei lavoratori italiani da portare in Germania nelle loro fabbriche e proprio Aldovini venne scelto : entro 2 settimane sarebbe dovuto partire. “ Ero spaventato. Gli Americani bombardavano su tutti i fronti, la guerra era quasi finita e io dovevo andare in Germania! Sono andato a parlare con degli amici e ci è venuta l’idea : scappiamo in montagna. In quel momento diventavo un partigiano. C’era a Sesto Vecchio un signore che organizzava il viaggio per quelli che partivano, si andava col treno fino a Bellano e poi a piedi in Valsassina. Arrivato in stazione avvenne un episodio che non scorderò mai. Una zingara, che non conoscevo mi prese la mano,e mi lesse il futuro, mi disse che sarei andato incontro a grandi sofferenze ma mi disse anche di tenure duro perché mi sarei salvato e avrei avuto una vita lunga”. All’inizio non fece caso a quelle parole, ma col passare del tempo, e ancora oggi, quelle parole riecheggiano e non trovano spiegazione. Aldovini conosceva Spartaco Cavallini, importante partigiano, ma mai avrebbe pensato di trovarsi nella sua situazione, di andare in montagna. Durante il viaggio il suo gruppo riuscì ad evitare un’imboscata dei fascisti ed arrivò così presso l’alpe Stavello in val Gerola, appena sopra Premana.
Quando giunse al distaccamento Carlo Marx della 55° Brigata F.lli Rosselli, l’accoglienza non fu delle migliori “Non si fidavano, erano sospettosi. Gran parte di noi non conosceva l’identità degli altri. Io avevo cambiato nome in Gregorio, per il cognome di mia madre, Gregori. Io sapevo solo l’identità del mio amico e di pochi altri. In quei due mesi tedeschi e fascisti cercavano di stringersi intorno a noi partigiani, così mancava sempre il cibo. Di solito lo portavano delle ragazze da Colico ma un giorno hanno stabilito un gruppo per andare giù a prenderlo, e mi hanno scelto”. Fu così che a giugno del 1944 i tedeschi e la Guardia Nazionale, grazie ad un’imboscata, catturarono Mario Aldovini che, per pura fortuna di essere stato riconosciuto da uno di loro, non venne fucilato insieme agli altri. Da Colico venne mandato al Palazzo di Giustizia a Milano dove, dopo tre giorni di interrogatori sulle mosse dei partigiani, delle quali nulla conosceva, e dopo aver subito diversi pestaggi, venne posto su un treno per Auschwitz.
Era notte. Siamo saliti su un treno per il bestiame, 35 per vagone. Insieme a me c’erano tutti i carcerati di S. Vittore. Il viaggio è durato una settimana, lungo la linea Brescia/ Verona / Brennero. Noi non abbiamo avuto idea di dove ci stavano portando fino a quando, giunto alla stazione di Ckattowitcks abbiamo visto il cartello per Auschwitz; Arrivati a piedi, eravamo sempre accompagnati da un interprete per capire gli ordini dei tedeschi. Ogni sera ci dicevano : domani veniamo alle 7. Poi arrivavano alle 6 e ci picchiavano con i frustini a pallini per farci alzare. Io non ho mai dormito la notte perché pensavo: cosa posso fare? Io dovevo trovare una via d’uscita perché piuttosto che vivere così sarei morto.” Il signor Mario non ha parlato a lungo di Auschwitz, raccontando solo alcuni particolari, come l’aver dovuto dormire sotto un cumulo di cadaveri o come le persone ridotte a pelle e ossa che si è visto passare davanti. Aldovini ha raccontato che aveva persino pensato di rubare il fucile a un tedesco e uccidersi piuttosto di ridursi così. Invece, un giorno gli si presentò dinnanzi a se l’occasione della salvezza. Dopo poche settimane ad Auschwitz infatti si offrì volontario ai tedeschi, i quali cercavano persone per disinnescare le bombe lanciate dagli americani, ognuna con un timer diverso, ognuna pronta a scoppiare in qualsiasi momento entro 72 ore dal lancio. “ Ho deciso di disinnescare perché ho fatto un conto semplicissimo : se scoppia la bomba, è finita, basta, chiuso. Altrimenti si va avanti finchè magari arriva il momento giusto…”.tedeschi portavano questi artificieri improvvisati nella mensa di una raffineria ad Heyderbreck, perché avessero le forze. Qui lavoravano degli italiani ed ecco un nuovo colpo di fortuna per Aldovini : tra una chiacchiera e l’altra spiegò di essere stato operaio e venne assunto in questa fabbrica tedesca. “ Qui andava meglio ma comunque subivamo i bombardamenti degli americani. Io ricostruivo quello che veniva distrutto, avevo una squadra! Mangiavamo ma solo a cena e mi difendevo dalla fame barattando. Gli americani mi davano il tabacco che ricevevano dalla Crocerossa ogni 15 giorni, io lo davo agli inglesi in cambio di cioccolato, prugne secche e calze velate da donna. Potevamo uscire dalla fabbrica al massimo per 50 km, io allora portavo le calze alla prestinaia che mi dava il pane.” Finchè un giorno arrivarono i russi, ormai era il 1945; Aldovini finì in un gruppo di deportati politici. Rimase con i russi fino all’8 maggio, a scavare trincee ormai prive di senso. Quando finì la guerra americani, inglesi e francesi vennero subito recuperati dai propri stati. Gli italiani dovettero invece tornare a casa da soli, così come erano stati abbandonati durante gli scontri dalla Croce Rossa. Mario Aldovini rientrò in Italia il primo ottobre 1945. “ D’altronde bisogna prenderla con filosofia perché è impossibile vivere continuamente in un ricordo tragico.” Aldovini ha poi raccontato alcuni episodi della Sua vita privata. Una serata che ha sicuramente emozionato il pubblico presente, e che ha offerta spunti interessanti di vita quotidiana.


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