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28/04/2007
Opinioni & Cultura
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SCUOLE MATERNE: I NUOVI LUOGHI DELL'ORRORE. MA È COSÌ ?
Indagini senza regole rischiano di distruggere le vite di persone innocenti
Autore : dal sito www.falsiabusi.it del febbraio 2007

Quanto sta accadendo nell′ asilo Rignano (Roma) è un fenomeno in espansione, ma per ora mai vero. Leggiamo questo articolo dal sito www.falsiabusi.it per farci un idea di quanto può accadere e di come indagini svolte senza regole ed in un unico senso (come spesso avviene in questi casi), rischiano di distruggere le vite di persone innocenti.

Negli ultimi anni uno strano fenomeno sta attraversando il paese: i casi di pedofilia all’interno delle scuole materne si sono moltiplicati. Decine e decine di bambini coinvolti, decine di adulti ritenuti responsabili.

Il fenomeno attraversa l’intera penisola. Dalla Lombardia al Piemonte, al Veneto, al Lazio, alla Campania, alla Sicilia le cronache dei giornali riportano i casi di presunti abusi ai danni dei piccoli alunni.

Un fenomeno orribile, a prima vista.

Un fenomeno, però, analizzabile da diverse angolazioni.

Il primo punto di vista, il più semplicistico (e forse per questo il più diffuso) si basa sull’idea per la quale “i bambini, su queste cose, non mentono mai”. Un’idea che da decenni è stata dimostrata falsa, sia nei fatti, sia nella natura intrinseca del verbo “mentire” riferito ad un bambino.

Il racconto di un bambino, infatti, è per definizione non falsificabile. Risulta quindi impossibile, in ogni caso, assumerlo come verità (o falsità) in assenza di riscontri oggettivi.

Un secondo punto di vista, un po’ più approfondito, consiste nell’essere consapevoli del fatto che non è possibile accettare fideisticamente qualsiasi racconto espresso da un minore. Invece, in questi casi (specie se la magistratura ha proceduto con processi e arresti), si tende a sostenere che “qualcosa di vero ci deve essere”.

Questa posizione, seppur più concreta della prima, nasce dalla conoscenza approssimativa e distorta degli strumenti legali a disposizione dei magistrati. E’ così che, nell’immaginario comune, l’avviso di garanzia diventa una sentenza di colpevolezza e l’arresto in custodia cautelare diventa la prova definitiva della colpevolezza stessa.

Il terzo punto di vista, che è quello di chi scrive, parte dal presupposto per il quale “il saggio coltiva il dubbio, lo stolto nutre le certezze”.

Piuttosto che accettare in modo acritico tutto ciò che ci viene proposto, preferiamo tentare un’analisi autonoma del fenomeno. L’analisi, per essere il più possibile concreta, non può limitarsi ad osservare un solo caso, ma deve agire da un piano “più alto”, da una visione d’insieme.

Per questo motivo abbiamo raccolto (e stiamo tuttora raccogliendo) testimonianze dirette e indirette, documentazione, articoli e contributi vari su almeno dieci casi di presunti abusi nelle scuole materne.

Da questa analisi emergono alcune circostanze del tutto ignorate dai sostenitori del primo punto di vista, e non sufficientemente considerate dagli altri.

Per iniziare questa nostra inchiesta, a differenza di ciò che fanno in genere le Procure quando iniziano ad occuparsi dei casi, decidiamo di partire ad occuparci, prima che delle presunte vittime, dei presunti colpevoli.

Vediamo chi sono, da vicino, questi nuovi “orchi” e queste nuove “streghe”.

I “colpevoli”

Le accuse di abusi sessuali colpiscono, in grande maggioranza, le diverse categorie di lavoratori di una scuola materna: maestre, ausiliarie, coordinatrici, direttori e presidenti.

In misura numericamente minore vengono indicati personaggi esterni, ma spesso legati alle persone che gravitano nel mondo della scuola, a volte i familiari degli accusati.

In genere, il personale della scuola sottoposto alle accuse vanta anni (se non decenni) di onorata carriera, e vite irreprensibili, almeno fino all’esplosione del caso.

Non abbiamo notizie di maestre o ausiliarie che abbiano mai avuto precedenti per casi non solo di pedofilia, ma per qualsiasi altro reato.

Fedine penali immacolate, centinaia di bambini accuditi ed educati nel corso di lunghi anni di insegnamento (senza che mai un bambino, anche in età adulta, raccontasse di molestie), vita privata tranquilla, famiglie rispettabili, spesso con figli di diverse età.

Ciò che stupisce è il fatto per il quale, all’improvviso, queste tranquille persone si trasformano in individui affetti da depravazioni sessuali gravi e patologiche, dediti alla violenza sessuale sui bambini sia per scopi di libidine personale, sia per produrre materiale pedo-pornografico che l’associazione per delinquere che essi costituiscono si preoccupa poi di vendere alla malavita per procacciarsi ingenti somme di denaro.

Queste, in sintesi, sono le accuse contenute negli atti.

Risulta difficile capire come un magistrato, o magari un suo consulente, possa essere portato a credere che tutto ciò sia non solo possibile, non solo probabile, ma assolutamente certo.

Risulta ancor più difficile quando si viene a sapere che, nella quasi totalità dei casi esaminati, gli inquirenti non ritengono nemmeno necessario interrogare gli indagati. Cosa che infatti si guardano bene dal fare, a meno di non esservi costretti dagli obblighi di legge (e in questi casi, sostanzialmente, l’interrogatorio si può riassumere così: “so che sei colpevole, adesso confessa…”)

C’è un caso limite, tra quelli analizzati, nei quali questa associazione per delinquere comprende l’intero personale di una scuola materna, nessuno escluso.

E, come se non bastasse, l’analisi di questo caso ci porta a scoprire che la maggior parte del personale, fino a due mesi prima dei presunti abusi, nemmeno si conosceva, essendo stata trasferita da poco nella scuola stessa.

In altri casi, invece, vengono colpite dalle accuse parti limitate del personale; incuriosisce il fatto per cui il resto dei colleghi riferisce di non aver mai visto o rilevato nulla di anomalo all’interno delle scuole. Nessuno di loro ha mai visto bambini allontanarsi dalla scuola, tantomeno con le colleghe, e nessuno ha mai visto persone sconosciute entrarvi.

Chi conosce minimamente la vita di una moderna scuola materna sa che essa non è un luogo blindato, nel quale ogni classe è un’entità chiusa e nascosta al mondo esterno. In una scuola materna le classi in genere sono aperte, ricche di vetrate, visibili.

La scuola materna non è una zona off-limits: durante la giornata le insegnati e gli ausiliari si avvicendano, vi accedono i fornitori, gli addetti alla mensa, il personale amministrativo, gli addetti alla manutenzione.

In un caso, addirittura, nel periodo dei presunti abusi erano aperti tre cantieri di ristrutturazione, popolati da una cinquantina di operai.

Possibile che nessuno, in nessuno dei casi esaminati, abbia mai visto nulla?

I luoghi

Riassumendo le circostanze dei vari casi, veniamo a scoprire che i bambini venivano abusati sia all’interno che all’esterno degli asili. Ma, sulla base delle accuse, dove avvenivano esattamente gli abusi?

All’interno degli asili: nelle classi, ovviamente, ma anche nei corridoi, nei bagni, nelle cantine, nelle palestre, negli uffici amministrativi e addirittura nei cortili. Praticamente ovunque.

All’esterno degli asili: nelle case delle maestre, in case sconosciute, in case abbandonate, in teatri, cinema, piscine, luoghi di culto, studi dentistici.

In alcuni casi le locazioni indicate distavano decine di chilometri dalla scuola. In altri, le distanze dei luoghi indicati erano incompatibili con le tempistiche ipotizzate.

Case ispezionate come luogo degli abusi sono risultate vuote e disabitate da tempo (con tanto di testimoni pronti a confermarlo).

Sono stati comunque perquisiti decine di appartamenti, sono state controllati decine di edifici pubblici e privati, senza alcun esito.

I mezzi di trasporto

Quando gli abusi avvenivano all’esterno, ovviamente i bambini andavano trasportati. I mezzi di trasporto, secondo le accuse, sono numerosi: dal semplice trasporto a piedi (singolo o di gruppo, attraverso le vie delle città) all’utilizzo di biciclette da bambino o da adulto (munite di regolari seggiolini), ai motorini, alle automobili, ai furgoni, ai pullman, per finire al trasporto in treno.

Gli abusi

Cosa avveniva al bambini? Quali sono i presunti abusi? Sempre secondo le accuse formulate dalle Procure, i bambini, caso per caso, venivano narcotizzati, denarcotizzati, abusati sessualmente, fotografati e videoregistrati, drogati, travestiti, cosparsi delle più disparate sostanze (miele, marmellata, creme, escrementi), costretti a mangiare le feci, venivano irrorati di urina e di sterco, venivano obbligati a ingerire insetti, legati alle croci mentre gli adulti ballavano intorno a loro, e altro ancora.

Numerose sono anche le accuse di percosse e di violenze atte ad intimidire.

I testimoni

Tutti i fatti esposti sopra sarebbero avvenuti ripetutamente in diversi luoghi e in diverse ore, coinvolgendo decine di adulti. Ebbene, un simile trambusto sarà stato senz’altro, prima o poi, notato da un testimone, da qualcuno che abbia visto qualcosa, anche minima.

L′andirivieni di bambini, di maestre, di mezzi di trasporto sarà pur stato registrato da qualche testimone.

Una maestra, una supplente, un ausiliario, un collega degli indagati, qualcuno che ha avuto a che fare con le scuole interessate, un passante , un negoziante, uno degli abitanti dei palazzi che circondavano le scuole.

Il grande volume di materiale fotografico e cinematografico prodotto avrà lasciato qualche traccia, qualcosa sarà stato trovato nelle case degli indagati, in qualche laboratorio fotografico, su internet.

I proventi di un così esteso traffico di materiale pedopornografico saranno in qualche modo stati rintracciati, i collegamenti internet degli indagati muniti di computer avranno evidenziato in qualche modo il traffico di materiale scottante.

Ebbene, analizzando i vari casi, possiamo dire che la risposta a tutto ciò è: no.

Non esiste alcun testimone che possa dire di aver visto qualcosa.

Non esiste alcuna traccia di materiale pedopornografico. Non una fotografia, non un filmato.

Non esiste alcuna traccia di arricchimento patrimoniale, non esistono somme di denaro transitate sui conti correnti degli indagati al di fuori delle normali operazione di un lavoratore.

Tutto ciò non viene solo detto dagli indagati, ma viene confermato dagli inquirenti ed è agli atti processuali.

I genitori

I bambini, come abbiamo visto,venivano consegnati agli asili durante il giorno, dove subivano ogni genere di vessazione fisica (trasporto in luoghi disparati, abusi sessuali di ogni genere, percosse, ferite con armi contundenti, ingestione di sostanze disgustose, narcotizzazioni). Poi, come niente fosse, venivano riconsegnati ai genitori nel pomeriggio.

Ora, è possibile che un genitore possa non accorgersi del fatto che il figlio è stato sottoposto pochi minuti prima a simili torture? E’ possibile che un genitore, che quotidianamente accudisce, lava e veste suo figlio, possa non vedere i segni fisici che questo tipo di abusi inevitabilmente (e ovviamente) lasciano?

Ebbene sì, è possibile. Non esiste un genitore che abbia mai denunciato di sua iniziativa segni di abusi sul proprio figlio.

In molti casi i pediatri, su richiesta dei genitori, visitarono i bambini, esattamente a ridosso dei periodi in cui nascevano le accuse. Nessuno di loro riscontrò segni di abuso o di ferite conseguenti a percosse.

I bambini

Davanti a un numero così elevato di bambini presunti abusati (un numero che nei casi da noi analizzati va ben oltre la cinquantina) senz’altro ci deve essere stato qualcuno di loro che, una volta tornato a casa, nonostante la mamma non si fosse accorta di nulla, avrà detto qualcosa, avrà raccontato lui per primo ciò che gli veniva fatto all’asilo, smascherando i responsabili.

E invece no. Nessun bambino ha mai parlato spontaneamente e di sua iniziativa dei presunti abusi.

Nessun testimone ha mai visto alcunchè, nessun genitore si è mai accorto di nulla.

Ma allora, da cosa partono le denunce?

La genesi

La genesi di questi casi ha origine, normalmente, negli studi di uno specialista, sia esso psicologo, medico pediatra o neuropsichiatra infantile. A volte il bambino non è nemmeno presente. A volte la consulenza avviene addirittura telefonicamente.

In alcuni casi la genesi consiste nel normale malessere di un bambino, irrequietezza, scontrosità, stanchezza, pianti prima di andare a scuola. Comportamenti abbastanza frequenti che possono trovare decine di spiegazioni. Segni aspecifici, così vengono definiti, ma che vengono interpretati in modo univoco o dai genitori stessi, o dagli specialisti ai quali si rivolgono.

Altre volte i sospetti nascono dall’osservazione nei bambini di giochi a carattere sessuale, che vengono confusi con giochi sessualizzati.

Altre volte ancora è un disegno fatto dal bambino che rappresenta un mostro, un uomo nero, una casa sconosciuta, oppure un ballo ancheggiante in stile “televisivo”.

Altre volte ancora è il contagio tra genitore e genitore, tra asilo e asilo, la trasmissione della paura o (peggio) della certezza di avere un figlio abusato.

La certezza dell’abuso, invece, viene solitamente data dallo specialista a cui ci si rivolge, per cui diventa una certezza professionale, granitica e inoppugnabile. E se mio figlio è stato abusato, lo saranno stati anche i suoi compagni di classe. Quindi, bisogna avvisare anche gli altri genitori, e così via.

Nei rari casi in cui uno specialista ha espresso dubbi sulla possibilità che gli abusi fossero veramente avvenuti, i genitori hanno preferito rivolgersi ad un altro specialista.

Quando viene diagnosticato un tumore, in genere, si ricorre ad un altro medico, e poi ad un altro ancora, nella speranza di trovarne uno che ci dica che non è vero.

E’ curioso, invece, come in questi casi si cerchi lo specialista disposto a confermare che i sospetti di abusi siano fondati.

Sull’operato degli specialisti in oggetto bisognerebbe scrivere un libro, ma qui ci limiteremo a una brevissima parentesi. Si tratta di solito di operatori privati, di amici di famiglia o di soggetti provenienti dall’ambiente delle ASL. Normalmente non hanno rapporti con il mondo accademico e con il mondo della ricerca. Svolgono il loro lavoro senza gli opportuni aggiornamenti che, in una materia quale l’ascolto del minori, è in continua e costante evoluzione.

Questa mancanza di professionalità li porta ad agire in modo maldestro e spesso emotivo. Il loro intervento tende ad assecondare le paure dei genitori o le aspettative dei Pubblici Ministeri quando rivestono il ruolo di consulenti per il tribunale.

Utilizzano di solito metodi di ascolto ormai abbandonati dalla comunità scientifica e accademica internazionale perché giudicati fallaci e non attendibili. A volte utilizzano metodi già messi al bando definitivamente dalla scienza, come l’uso di bambole anatomiche. La loro preparazione approssimativa e la loro mancanza di esperienza fa in modo che essi non siano consapevoli dei loro errori e dei limiti intrinsechi dell’indagine psicologica.

Il ruolo dello psicologo nell’ascolto del bambino, secondo i principi riconosciuti dalla comunità scientifica accreditata, dovrebbe limitarsi ad una semplice valutazione dell’attitudine di un minore a rendere una generica testimonianza, limitatamente al momento in cui avviene l’esame. Questo è il limite oggettivo della psicologia.

Gli specialisti che abbiamo valutato nella nostra inchiesta, invece, pretendono di saper stabilire, mediante uno o pochi colloqui, se un fatto è realmente accaduto o meno, sconfinando in terreno del tutto estraneo alle loro competenze.

I racconti dei bambini

Per poter interrogare un bambino in modo corretto bisognerebbe, quantomeno, conoscere i concetti fondamentali di domanda suggestiva, di domanda induttiva e di domanda chiusa, oltre che la tecnica corretta per approcciare gli argomenti.

Nei casi presi in esame invece, ci troviamo di fronte a mamme a cui è stato appena detto (da una psicologa, da un’altra mamma, a volte addirittura dagli inquirenti) che il loro figlio è stato quasi certamente abusato.

Esse corrono dai figli, con il comprensibile panico del caso, con l’intenzione ferrea di ottenere dai bambini i racconti di ciò che hanno subito.

A volte, addirittura, sono le stesse psicologhe a suggerire i modi migliori per “far parlare” i bambini. Da qui nasce un campionario sterminato di domande suggestive, di interrogatori pressanti, di risposte “messe in bocca”, di ricerca spasmodica di conferme.

Di tutto ciò troviamo abbondante conferma dalle carte processuali, ma soprattutto nelle (purtroppo) poche audioregistrazioni degli interrogatori che talvolta le mamme hanno effettuato.

E’ proprio da queste audioregistrazioni che provengono le prove illuminanti dell’alto grado di suggestione. E i piccoli, dopo le reiterate e stressanti insistenze, stanchi, iniziano ad assecondare i desideri di confessione dei genitori, dando poi libero sfogo alla fantasia, particolarmente fervida in bambini in età prescolare.

Da tutto ciò solitamente nasce un garbuglio di racconti che sono uniti da una caratteristica comune: l’illogicità.

I genitori si riuniscono

Lo schema comune a molti casi prevede, a questo punto, l’organizzazione tra i genitori e la visita in Procura o presso le forze dell’ordine, dove viene presentato un quadro di abusi già certificati dai racconti dei bambini e dalle conferme degli psicologi.

E’ solo a questo punto che i genitori iniziano a guardare in modo retrospettivo al recente passato. Come per incanto, quel piccolo malessere, quel mal di pancia, quell’incubo notturno del loro bambino riemerge dalla memoria e viene ricollegato inequivocabilmente all’abuso patito. Riemergono le sbucciature sulle ginocchia e sui gomiti, assolutamente normali per la vivacità di un piccolo di quattro anni, ma ora indice dei maltrattamenti.

Riemergono i lievi arrossamenti ai genitali, non più dovuti al pannolino, ma causati dalla violenza sessuale.

Curiosamente, di tutte queste anomalie che ora riaffiorano, all’epoca dei presunti fatti nessun genitore e in nessun caso fece la cosa più ovvia, ovvero parlarne con le maestre.

Bisognerà attendere il dibattimento in aula, ad esempio, per poter sapere che, quando una mamma riferisce in questura della paura e del pianto della propria figlia nel vedere una macchina fotografica, guarda caso pochi giorni prima la piccola era stata sottoposta ad una invasiva ispezione ginecologica da parte di un medico legale, con tanto di fotografie ravvicinate degli organi genitali. Un piccolo particolare tralasciato (chissà perché) dalla madre in sede di denuncia.

Ora, in almeno cinque dei casi osservati, i genitori si coalizzano, organizzano riunioni, comitati e associazioni, intraprendono opere di pressioni sui politici (che normalmente li assecondano), comunicati e conferenze stampa, volantinaggi, affissioni di manifesti. In sette casi sono scese in campo associazioni di dubbia capacità e di carente preparazione specifica, animate da oltranzismi e ideologie e pronte a buttarsi a peso morto sulle segnalazioni di cui vengono a conoscenza, emettendo immediatamente sentenze di condanna senza conoscere i fatti e bollando come “complici dei pedofili” tutti coloro che osano pronunciare una parola in difesa degli indagati.

Tutto ciò non ha altro effetto se non la diffusione del panico e di una sorta di isterica caccia all’untore: in uno dei casi analizzati, le segnalazioni prodotte dalla diffusione del panico e della psicosi hanno portato la Procura ad identificare la considerevole cifra di centotrenta ignari cittadini.

Le indagini

A questo punto le Procure, in genere, partono in quarta con una serie di indagini in grande stile, ma a senso unico e con un unico scopo: trovare le prove degli abusi senz’altro avvenuti.

In due soli casi la Procura ha deciso per indagini a tutto campo, sia verso gli accusati che verso gli accusanti: i due casi si sono risolti con l’archiviazione per insussistenza delle accuse.

Altrove, sono partite nei confronti degli indagati ispezioni, pedinamenti, perquisizioni, intercettazioni telefoniche, rilievi sui conti bancari. Tutto inesorabilmente con esito negativo.

Sono stati nominati i consulenti tecnici, di livello non diverso dagli specialisti di cui sopra, pronti a confermare “per contratto” le tesi accusatorie degli inquirenti.

In alcuni casi sono stati spesi in consulenze decine e decine di migliaia di euro.

In tre casi si è proceduto con l’arresto di alcuni indagati.

In un caso è stata riscontrata le “sparizione” dagli atti delle videoregistrazioni delle audizioni protette, “smarrite” dalla Procura.

In un caso è stato mostrato ad una bambina un video contenente esclusivamente spezzoni di filmati girati nelle case degli indagati, giusto per essere sicuri che la piccola, in caso di riconoscimento, non riconoscesse qualche casa estranea alla vicenda e quindi non funzionale all’accusa.

In un altro caso una bambina è stata costretta, contro la sua volontà, dal consulente psicologo della Procura a denudarsi completamente dinnanzi alle telecamere, e ad assumere pose scabrose (sull’episodio è in corso una denuncia per violenza su minore).

Le indagini, in genere, non hanno subito tentennamenti nemmeno quando i racconti riferiti dalle madri hanno raggiunto vertici grotteschi e paradossali.

Quando necessario, gli inquirenti affrontano il problema introducendo la spiegazione panacea di tutti i dubbi: il demonio.

I satanisti

Come spiegare il fatto per il quale un gruppo di persone tranquille, irreprensibili, rispettate e stimate, provenienti da storie culturali, religiose, politiche e sociali eterogenee, all’improvviso si mettono, per fare un esempio, ad appendere i bambini in gabbie dorate all’interno di una chiesa, o a fare truculenti sacrifici animali a base di coltelli e sangue?

E‘ semplice: sono tutti diventati, improvvisamente, satanisti, ovvero cultori del demonio, pure quelli atei o agnostici e a maggior ragione i ferventi religiosi.

D’altra parte, dato che gli inquirenti hanno deciso da subito che i bambini sono credibili e che le maestre sono orchi, quale altra possibilità c’è se non quella trascendente?

C’è una teorie, promulgate da sedicenti associazioni contro la pedofilia, che formula, per questi casi, l’equazione pedofilia uguale satanismo.

Su quali basi, non è dato a sapersi. Certo, se l’equazione è figlia delle conclusioni a cui sono giunte le Procure per spiegare l’inspiegabile, si tratta semplicemente di una tautologia.

Se si prova però a scavare più a fondo sul fenomeno indicato con il nome generico di “satanismo”, si scoprono cose piuttosto interessanti. In rete c’è chi lo ha fatto e ne ha pubblicato i risultati.

Veniamo così a sapere che il satanismo di cui si parla abitualmente, quello “cinematografico”, fatto di cappucci e tonache nere, sgozzamenti di polli, croci infuocate e via discorrendo, in realtà è figlio della degenerazione di un fenomeno culturale dark (o noir che dir si voglia) presa come punto di partenza da bande di delinquenti psicotici, in genere di giovane età, per commettere orrendi delitti di cui poi parlano le cronache. Costoro in realtà non sanno nulla di satanismo, né ne hanno a che fare, ma utilizzano questi stereotipi per condire i loro crimini.

Esistono poi i veri adoratori del demonio (per quanto questo possa lasciare di stucco), nell’ordine forse di qualche decina su tutto il territorio nazionale, che celebrano realmente messe nere e riti satanici, ma che poco si discostano da riti ortodossi. Niente sacrifici, insomma, niente sangue e niente violenze, ma un discutibile culto dell’oscuro svolto in forma assolutamente riservata.

Ecco, sarebbe utile capire in quali di questi ambiti si collocano le maestre e le ausiliarie che, in tutta Italia, hanno deciso di dedicarsi al satanismo. Sarebbe anche utile capire se le Procure, prima di ipotizzare tali assurdità, hanno riflettuto in modo adeguato.

Così come sarebbe utile sapere se, osservando tutti i casi, risulta credibile l’idea per la quale una sostanziosa percentuale di pedofili, criminali e satanisti si sia data appuntamento nelle scuole materne italiane.

Gli indagati si difendono

Nonostante nella totalità dei casi gli avvocati difensori consigliassero inizialmente ai loro assistiti prudenza e silenzio, in quattro casi si sono costituti nuclei o comitati in difesa delle persone accusate.

Sono stati raccolti numerosi attestati di stima e svariate centinaia di firme di solidarietà.

Si sono organizzate reti di contro-informazione (o informazione alternativa) per contrastare l’ondata accusatoria avviata dal fronte dei genitori.

In un caso è stata addirittura organizzata una fiaccolata in sostegno agli indagati, partecipata da centinaia di cittadini.

La stampa e i mass-media

L’argomento pedofilia, si sa, va per la maggiore su tutti gli organi di stampa. Non sempre però i giornalisti sono abbastanza lucidi e informati per distinguere ciò che è da ciò che potrebbe essere, o da ciò che non è.

In tutti i casi osservati la stampa e le televisioni hanno inizialmente dato ampio risalto alla tesi delle accuse, spingendosi a raccontare i fatti come certi e acclarati. Non sappiamo come questo comportamento si possa conciliare con la deontologia professionale, o anche con la semplice vocazione della professione (che dovrebbe essere dedita all’inchiesta, e non alla consacrazione di una tesi piuttosto che di un’altra).

Fatto sta che gli indagati sono stati fatti oggetto di un notevole linciaggio mediatico. Abbiamo visionato spezzoni di telegiornale e articoli di stampa al limite della decenza.

Solo in uno paio di casi, a fronte della paziente attività di contro-informazione messa in campo dai difensori degli indagati, i media hanno mutato la loro posizione, introducendo il concetto di presunti abusi e mettendo in luce le numerose contraddizioni dei teoremi accusatori.

I processi

Nonostante, normalmente, le indagini non portino ad alcun risultato utile o prova certa, la presunzione di colpevolezza e il clamore sollevato dal caso portano la magistratura a celebrare un processo, preceduto dagli incidenti probatori.

Il pacchetto preconfezionato dagli inquirenti, già pesantemente indirizzato verso le ipotesi accusatorie (con buona pace del codice deontologico dei PM che impone la raccolta di prove sia a favore che contro l’indagato), rischia poi di condizionare pesantemente lo svolgimento del processo.

Come disse un noto uomo politico italiano, “...non è sufficiente avere ragione, bisogna anche trovare chi te la dà...”

L’esito dei processi, infatti, è assolutamente imprevedibile: se è vero che finalmente in aula la difesa degli indagati (ora imputati) ha modo di farsi valere, cosa pressoché impossibile durante le indagini e le fasi pre-processuali, è pure vero che la matassa è talmente intricata che risulta spesso arduo districarsi tra le vie tortuose del dibattimento.

Gli avvocati della difesa si trovano spesso a dover ricostruire una realtà distorta dalle indagini a senso unico utilizzando l’arma del ragionamento per scardinare i teoremi accusatori troppo spesso basato su dichiarazioni “de relato”, ovvero riferite dai genitori (e teoricamente di scarsa portata probatoria) o su discutibili relazioni peritali basate solitamente su scuole di pensiero ancorché semplici impressioni personali.

In alcuni casi i processi sono in corso, in altri sono prossimi, in altri ancora sono altamente probabili.

Nei casi osservati già giunti a sentenza, in diversi gradi di giudizio, possiamo annoverare ad oggi nove ordinanze di archiviazione, venti assoluzioni ed una sola condanna.

Durante il primo grado del processo concluso con una condanna venne richiesta la ricusazione del giudice perché egli fece intendere, senza volerlo, la volontà di condannare ben prima della conclusione del dibattimento.

Nessuno dei processi è però definitivamente concluso con i tre gradi di giudizio. Tre casi sono in fase di indagine preliminare.

A prima vista sembrerebbe che, alla fine, la verità normalmente viene a galla.

In realtà, quell’unica condanna pesa come un macigno sulla coscienza di chi sa che si tratta di un errore giudiziario.

E in ogni caso, non c’è assoluzione che possa cancellare l’oltraggio e la devastazione personale, lavorativa, familiare e sociale che gli imputati hanno dovuto subire.

E che nessuno mai ripagherà.

Considerazioni finali

Al termine di questa inchiesta, rimangono in sospeso alcune domande: per quale motivo, a fronte di una labile segnalazione di disagio di un minore, con sintomi assolutamente aspecifici, si è sempre deciso di ipotizzare l’abuso sessuale?

Per quale motivo non sono mai state vagliate seriamente le ipotesi alternative?

Perchè non si è dato spazio a spiegazioni più plausibili e razionali, ma si è privilegiata la strada che porta ad ipotizzare diffuse perversioni criminali, ai limiti dell’incredibile?

Come mai non è stato possibile, in nessuno dei casi esaminati, reperire una sola prova concreta che potesse confermare i fatti?

E’ possibile che un gruppo di maestre e ausiliarie sia così incredibilmente abile da nascondere qualsiasi traccia di decine di abusi, su decine di bambini, in decine di luoghi e di occasioni?

E ancora, perché i pubblici ministeri affidano (a loro unica discrezione) delicati incarichi di consulenza a professionisti senza esperienza, non all’altezza, non sufficientemente aggiornati o palesemente scorretti?

Terminiamo con un’ultima considerazione, per la quale occorre salire ancora di un gradino rispetto al nostro punto di vista originale. Occorre cioè abbandonare lo scenario nazionale e passare ad osservare lo scenario internazionale.

Negli anni Ottanta un caso del tutto simile a quelli finora illustrati sconvolse gli Stati Uniti. Un asilo di Manhattan Beach, nei pressi di New York, fu travolto dalle accuse di essere un luogo dell’orrore, dove decine bambini venivano sottoposti ad abusi sessuali rituali. Tutto il personale dell’asilo venne inquisito, diversi vennero arrestati. Il clamore del caso ne sollevò presto altri molto simili. Furono numerosi gli asili sparsi per il paese in cui le denunce fioccarono a volontà. Decine di persone venero inquisite ed arrestate. Ci vollero otto anni per capire che in realtà gli abusi a Manhattan Beach non erano mai avvenuti. Decine di persone innocenti vennero messe in carcere a causa di questo errore.

Fu una tragedia nazionale, che portò il legislatore a rivedere radicalmente il modo di condurre le indagini.

Ora, in USA, a fronte di una segnalazione di un possibile abuso, si utilizzano la prudenza e la circospezione, unite all’analisi di specialisti e alle indagini ambientali a tutto campo.

In Inghilterra, negli stessi anni e sull’onda dei casi americani, analoghi casi di falsi abusi nelle scuole materne portarono a clamorosi errori giudiziari.

Oggi, in Inghilterra, è stato scritto un protocollo rigoroso per l’audizione dei minori, volto all’eliminazione di ogni possibile suggestione. Inoltre, ogni colloquio o dichiarazione di un minore devono essere videoregistrate per essere considerate valide, pena la non ammissibilità al processo.

In Francia, nel 2001, gli abitanti di un intero palazzo furono accusati da una mamma di avere abusato dei suoi figli e di numerosi altri bambini. Diciassette accusati, tredici arrestati, trascorsero fino a tre anni di carcere. Durante il processo la mamma confessò di essersi inventata tutto e chiese aiuto, dichiarandosi malata. Gli imputati furono assolti e rimessi in libertà. Non tutti, però: uno di loro, per la disperazione e per la vergogna, si suicidò in carcere prima del processo.

A seguito di quello che fu definito un “disastro giudiziario” (e per i quali i giudici chiesero umilmente scusa agli imputati) venne costituita una commissione parlamentare di inchiesta per studiare la riforma di numerosi aspetti della Giustizia.

Oggi, in Francia, ad esempio, non solo le audizioni devono essere videoregistrate, ma la difesa deve essere sempre presente e i magistrati sono tenuti ad una continua opera di formazione e aggiornamento.

A Salem (USA), nel 1692, diverse donne furono impiccate perché alcuni bambini (che vennero creduti) dissero di averle viste volare.

In Italia, trecentoquindici anni dopo, siamo davvero ancora convinti che le maestre possano volare ?


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