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26/02/2006 Parrocchie di Ballabio Letta 8 volte IL CONCETTO DI LAVORO CRISTIANO Il lavoro umano, edificazione della persona e della società: a quali condizioni? (Da : I cristiani nella città – Centro Ambrosiano). 2° Occupabilità, qualità, relazionalità. Occorre prendere atto che molto del lavoro attuale è basato sulla conoscenza e che essa è spinta a progredire. Un indiscriminato lavoro precario rischia di abbozzare nu¬merose conoscenze che poi vanno disperse se non c'è continuità o possibilità di sviluppare la formazione rice¬vuta. Anche nell'economia attuale la formazione è un importante valore aggiunto. Garantire occupabilità ai lavoratori significa permette¬re all'esperienza formativa di accumularsi e di diventare tesoro per una nuova esperienza lavorativa in un'ottica dinamica, in uno sviluppo progressivo delle proprie ca¬pacità lavorative, se pure all'interno di un lavoro che cambia continuamente profilo. Oggi una persona che ha più di quaranta/cinquanta anni e che cerca lavoro deve fare i conti con una scarsa occupabilità che la rende non idonea al reinserimento nel panorama lavorativo con compiti e funzioni diverse da quelle esercitate per anni. Bisogna dunque fare attenzione anche ai processi forma¬tivi. La questione della qualità è poi centrale se pensiamo a come oggi non basti produrre nuovi posti di lavoro se non si può garantire che siano di qualità e rispondenti al¬le esigenze dei singoli individui. Soprattutto i giovani laureati sembrano i più disposti ad attendere nel preca¬riato e nell'estemporaneità lavorativa (borse di studio, contratti occasionali, consulenze sporadiche) purché il lavoro poi raggiunto sia un reale spazio di sviluppo del¬le proprie competenze e della professionalità acquisita. Anche le donne disoccupate che hanno alle spalle una certa esperienza professionale stentano ad uscire dalla loro condizione perché frenate dalla bassa qualità dei la¬vori loro offerti. Solo apparentemente la flessibilità così ricercata oggi dai più giovani nel lavoro sarebbe in contraddizione con il desiderio di stabilità. In realtà si cerca una "flessibilità stabile", ovvero una condizione nella quale i propri biso¬gni di sicurezza abitativa, affettiva, familiare, ma anche di relazioni e di modalità lavorative siano mantenuti co¬stanti. Il versante della relazionalità appare elemento di gran¬de importanza nella scelta e nel mantenimento del lavoro oggi. Anche la diffusione dell'occupazione nelle realtà di servizio sociale, assistenziale e sanitario che per defi¬nizione dovrebbero avere al centro la persona, contribui¬sce a rendere la relazione sul lavoro un elemento decisi¬vo. Il lavoro è anche il luogo nel quale si intrecciano tan¬te esistenze che faticosamente lottano per la sopravvi¬venza. Esso è purtroppo anche ambito della negazione dei diritti, dello sfruttamento, delle privazioni ingiuste. Il cri¬stiano chiamato a promuovere giustizia non può na¬scondersi di fronte alla realtà del lavoro nero, sottopaga¬to, utilizzato per coprire atti illegali e distruttivi, ma de¬ve cercare ogni mezzo per attuare una società realmente solidale, superando talvolta un istintivo individualismo. B. Attingere luce: una lieta notizia per il lavoro Un quotidiano spendersi in vista di un compiersi. Leggiamo in Luca 9,23: «Se qualcuno vuole essere mio discepolo, rinneghi se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua». È difficile fermarsi su quel «ogni giorno» senza evocare la dimensione della quotidianità, quella che accompagna il lavoro, che esige a sua volta di essere riconosciuto come chiamata originaria, di es¬sere ricollocato entro la via della sequela del Signore Gesù. In moltissimi passaggi la Parola di Dio fa riferimento al lavoro e se il suo esercizio quotidiano ne evidenzia l'a¬spetto di fatica perennemente incompiuta, scopriamo fin da Genesi (2,1-3) che Dio ci ha posto nel giardino perché possiamo goderne i frutti e perché il nostro lavoro abbia un compimento: Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere. Allora Dio nel settimo giorno portò a ter¬mine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto. Il compimento del lavoro è possibile ed è per noi una lieta notizia se viviamo la consacrazione del settimo gior¬no, quello che restituisce un senso agli altri sei. C'è da ri¬flettere su quanto oggi il lavoro domenicale si stia esten¬dendo, all'insegna di una flessibilità senza limiti di spa¬zio e di tempo, oltre i servizi essenziali, con il rischio per gli stessi cristiani di non vivere la domenica come giorno del Signore, capace di riempire di significato il percorso ordinario della vita e le fatiche dei giorni feriali. Il lavoro: affanno o servizio? In Matteo 6,25-34 scopriamo quanto l'affanno ci porti lontano dalla condizione dell'adulto credente, che perce¬pisce qui un invito chiaro e rasserenante a riporre la sua fiducia nella provvidenza, nel Dio che non abbandona: «Ecco perché vi dico: Non vi affannate per la vostra vita, di ciò che mangerete o di ciò che berrete, né per il vostro corpo o di ciò che vestirete». Si tratta di una fiducia che ci induce a rivedere profondamente tante ansie della vi¬ta adulta, nella quale si attribuisce al lavoro un grande potere di controllo dei propri ritmi di vita e della qualità della propria giornata. Lo stesso affanno per il guadagno viene messo in discussione da una logica che ci porta a credere che il Signore della storia non ci fa mancare ciò di cui abbiamo bisogno. «Chi è avvezzo a rubare non rubi più, anzi si dia da fa¬re lavorando onestamente con le proprie mani, per farne parte a chi si trova in necessità» (Efesini 4,28). Nel lavoro onesto, compiuto con le proprie mani, finalizzato alla so¬lidarietà più autentica, c'è secondo l'ammonizione di Paolo una via maestra per vivere la vita nuova in Cristo. «Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo semplici servitori. Abbia¬mo fatto quanto dovevamo fare» (Luca 17,10). Il Vangelo ci insegna un rapporto con il lavoro quotidiano segnato da grande libertà interiore. Il nostro lavoro con i suoi ri¬sultati non ci appartiene, non è strumento della nostra gloria personale dal quale pretendere dominio e potere. La logica dei servi inutili non ci toglie la gratificazione, ma ci restituisce pienezza di umanità, ci ricorda che non è il lavoro svolto che ha primato nella nostra vita. Fare «tutto quello che è stato ordinato» è però un compito per il credente, un valore irrinunciabile. Pensiamo a quale trasformazione si genera in un luogo nel quale tutti av¬vertono l'importanza di compiere il proprio dovere, fino in fondo, senza sconti, senza deleghe, senza pensare tut¬tavia che il proprio contributo sia irrilevante. Soltanto nella vicenda di Gesù, "Uomo del lavoro", e in particolare nella sua Pasqua, mistero perenne di morte e ri¬surrezione, di perdita di sé perché l'altro sia - nella dedicazio¬ne di sé, del proprio tempo, della propria opera, della pro¬pria vita che ogni lavoro esige - è possibile tuttavia trova¬re senso e pieno compimento al lavoro. È la logica pa¬squale del donarsi per ritrovarsi la risposta ultima ad ogni "alienazione" (segno, ultimamente, del peccato e dell'in¬giustizia propria e altrui) e ad ogni attesa di "realizzazione" che il lavoro dell'uomo invoca. È la Pasqua, in ultima ana¬lisi, a rendere possibile una autentica rilettura del lavoro nella prospettiva della fede nel Dio che salva e conduce la storia - lavoro umano compreso - alla sua pienezza. |
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